Ancora ripensava agli anni passati tra il suo appartamento nel ghetto e la sede del partito. Tra l'inazione e le parole, con cui costruiva meravigliose impalcature e su cui poggiava ogni sua spiegazione. A quei tempi la Spagna sembrava solo un posto vagamente esotico dove la gente si prendeva un po' troppo sul serio e comunque un posto troppo lontano da Varsavia, per perdervi la vita. Eppure se ne era parlato ovunque, coi compagni, coi colleghi - alcuni di loro erano addirittura andati a sparare ai fascisti. Lui, dal canto suo, si accontentava di sparare sentenze sulle sovrastrutture politiche e gli intrecci economici che facevano si che questa fosse solo una farsa di gente dal sangue mediterraneo, e che loro, grazie ai compagni russi, non avrebbero avuto nulla da temere. Il tempo passava, ma al giovane Shlomo l'idea di combattere per qualcosa di così intangibile, di combattere per un'idea – per quanto la si potesse condividere – sembrava qualcosa di così immaturo, da non volersi compromettere, rimanendo lasso sull'amaca delle sue proposizioni. Anni dopo in treno, gli ritornò in mente la diatriba di quei tempi, e di nuovo si arrovellò, ma con spirito nuovo, si chiedeva come sarebbe stato morire per la sua idea, cosa avranno provato i suoi compagni nel farlo e l'esperienza delle trincee, la prima linea contro un nemico chiaro ed identificabile. Pensava ancora a questo quando giunse a Birkenau.
1 commento:
Grazie
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