Passando tutti ridevano di lui, lo guardavano e lo paragonavano ai loro amici più buffi e brutti; con i suoi occhialini da lettura, il suo volto peloso e i denti vagamenti sporgenti ispirava le similitudini pù basse. Tutti in via di Città lo conoscevano, sempre altero e taciturno di fronte la sua bottega. I senesi quasi non si accorgevano più di lui, ma per i turisti era quasi meglio del Campo e della Torre. Col tempo s'incominciò ad abituare e fortunatamente la notte, con i suoi amici dentro la bottega, non lo poteva vedere nessuno. E pensare che loro avevano avuto in sorte un aspetto ben più crudo, lui - anzi - nonostante gli anni, sembrava rimaner giovane come durante la sua adolescenza, nonostante ciò continuava a non spiegarsi come mai quando gli avventori della bottega vedevano i suoi fugaci compagni di vita era tutto uno sperticarsi di complimenti e smorfie di piacere. Un giorno, però, uno sfrontato di giapponese - in cerca di souvenir caratteristici - arrivò a puntargli l'obiettivo della camera, proprio sotto il suo mento pronunciato, fu così - che dal riflesso sghimbescio del vetro convesso - tutte le spiegazioni gli caddero addosso come la mela cadde a Newton. Dapprima egli se ne sconvolse e se ne rammaricò, ma poi capì e da quel momento smise di provare quella sottile invidia verso i suoi amici della bottega, certo era dura essere una testa di cinghiale impagliata con sotto appeso un cartello che recitava da sempre "Oggi Porchetta", ma almeno lui - pensò con orgoglio - sarebbe rimasto bello come quando era un giovane cinghialotto selvatico e in più non sarebbe mai stato mangiato da nessun tedesco in calzoncini e sandali.
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