Pigiati nei vagoni merci, si stava scomodi: alla prima sera, approfittando di una fermata, Cesare e io scendemmo a terra, per sgranchirci le gambe e trovare una migliore sistemazione. Notammo che in testa erano vari vagoni passeggeri, e un vagone infermeria: sembrava vuoto. - Perché non ci saliamo? - propose Cesare. -E' proibito, - risposi io insulsamente. Perché infatti doveva essere proibito, e da chi? Del resto, avevamo già potuto constatare in varie occasioni che la religione occidentale (e tedesca in specie) del divieto differenziale non ha radici profonde in Russia.
Il vagone infermeria non solo era vuoto, ma offriva raffinatezze da sibariti. Lavatoi efficienti, con acqua e sapone; sospensioni dolcissime che attutivano le scosse delle ruote; meravigliosi lettini appesi a molle regolabili, completi di lenzuola candide e coperte calde. Al capezzale del letto che avevo scelto, dono supererogatorio del destino, trovai addirittura un libro in italiano: I ragazzi della via Paal, che non avevo mai letto da bambino. Mentre i compagni già ci dichiaravano dispersi, trascorremmo una notte da sogno.
Scrivevo oggi una lettera morta, riportando questo stralcio di Levi che ho riportato anche qui. Ne discussi un giorno anche con il mio prezioso mentore e correttore preciso di inutile bozze. Perché si legge? Perché si arriva ad avere il vizio della carta stampata (come dirà lo stesso Levi qualche pagina più tardi), arrivando ad assurgere il libro a feticcio?
Il pensiero è che non vi è letteratura che non sia di evasione. Nel senso che si legge sostanzialmente perché molte volte si ha paura, si ha paura di noi stessi, dei nostri stessi pensieri - che sopraggiungono veloci - appena ci distacchiamo dalla preziosa parola stampata. La nostra mente è debole, non è capace di autodifendersi ed ha bisogno di un aiuto. Per lo più si legge narrativa, evasione per eccellenza, dove si racconta di altre vite, di altre storie. Queste a volte sono vere, a volte surreali, di sicuro altre. Chiaramente più si va avanti e più subentra anche un gusto particolare, ma in momenti del tutto bui si leggerebbe anche un trattato di ostetricia in tedesco (1). Si può leggere per non aver paura di morire.
Da questa condizione di dipendenza, da questo attaccamento morboso per l'evasione, nasce l'attaccamento al libro - che può avere un substrato consumistico - come oggetto fisico, ma è l'unica chiave di accesso all'altro da se. Forse per questo droghe (2) e libri non vanno d'accordo in me: forse mi sento troppo lontano da me, forse sono due escamotage che non collimano tra di loro, forse - più prosaicamente - la droga non favorisce la concentrazione, e la fuga ex libris ne richiede per essere totale ed appagante.
(1) Come farà Levi qualche pagina dopo.
(2) Per le forze dell'ordine :"Giuro che ormai si parla di qualche canna ogni due o tre mesi!"
1 commento:
Sicuramente sono d'accordo con te sull'evasione come ingrediente fondamentale della narrativa. E' un fatto su cui molti polemizzano... Forse non evade leggendo chi non ha bisogno di evadere, che vuoi che ti dica - per il resto, se un libro oltre a essere fichissimo riesce anche a rapirti e farti pensare "da qui al patibolo di vario grado ci sono ancora queste n pagine" è tutto di guadagnato.
Un elemento importantissimo, per me, difficile da inquadrare nella semplice evasione è il gusto per la creazione fantasiosa (non necessariamente di una trama fantastica, né necessariamente di una trama: anche di una riflessione, o di un pinkettsiano gioco di parole): è come guardare un film porno e subito dopo aver voglia di scopare.
Poi, certo, viene il piacere dello stile. La "voglia di autore". E il profumo della carta. E la passeggiata in libreria. E mettersi a cercare la "Dialettica dell'Illuminismo" per farti bello con un'avventrice.
Tuo,
Livio
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