lunedì 31 dicembre 2012
la lumiere farouche
Essere un punto
che vede passare le luci,
volendo essere il punto
e le luci inconsapevoli,
io stesso ignaro
di cosa si nasconde dietro il bagliore.
mercoledì 24 ottobre 2012
la macchina fotografica
Lo sbalzo di luce gli faceva male agli occhi. Faceva buio prima e dopo lampade e flash le pupille gli si erano ristrette rapidissimamente. Aveva d'aspettare ancora qualche minuto prima dell'autobus che lo avrebbe portato a casa. In quella città già da un paio d'anni non era ancora riuscito a coordinarsi con gli orari dei mezzi: troppo prima, troppo dopo o alla ricerca di autobus inesistenti. Decise comunque di fumare una sigaretta. Le sigarette, si sa, fanno arrivare i mezzi. Quando fumi con piacere allora ti secca buttare la cicca con almeno ancora quattro cinque tiri attaccati, ma quando lo sai e lo fai apposta, allora quei fari che si avvicinano non fanno altro che convalidare la tua tesi e la sigaretta la pesti con piacere. Quella voltà non funzionò. I pensieri allora si accavallarono, ma non come gambe di donna, come gli piaceva pensare di solito, più come date in un esame di storia. E il fumo saliva e la pazienza scendeva e intanto le mani sudavano nelle tasche nonostante il freddo. Ma poi che cazzo ci faceva quella macchina della polizia nel cortile del tipo. Finalmente un bus, non era il suo ma non si sa mai, meglio smollarsela, prima che qualcuno arrivi a fare domande stupide. Chi lo sà magari il coinquilino del tipo è uno sbirro, forse lo è il tipo stesso, magari gli ha detto qualcosa della macchina fotografica. Meglio andare. L'autobus era di quelli piccoli che portano in centro. Questo lo avrebbe fatto dopo quindici minuti di sosta al capolinea. Erano soli. Lui e l'autista all'Agroalimentare. Quel coglione non faceva che fissarlo dallo specchietto. Sali, scendi, fuma un'altra sigaretta, niente da fare il tipo continuava a fissarlo. Il coglione gli fece cenno per ripartire e lui si trattenne a stento dall'urlargli in faccia cosa cazzo volesse. Più avanti, ritornati nella civiltà della zona commerciale, erano saliti due tipi, alti, uno era pure pelato e comunque tutti e due avevano la tracolla, niente da fare erano sbirri. Meglio scendere e cambiare autobus, lo avevano sicuramente seguito dalla fermata mezz'ora prima. Non sarebbe dovuto andare in quella casa, lo sapeva, e poi tutta quella gentilezza e tutto quel parlare della macchina fotografica, avrebbero dovuto insospettirlo, insomma erano quasi estranei. Miracolosamente c'era il 32 quello lo avrebbe portato vicino alla Bottega, lì avrebbe potuto finalmente rilassarsi con un caffé corretto e tre sigarette meditative. Verso il centro i lampioni riflessi lo abbagliavano come lampade, al centro di un interrogatorio che la città intera gli stava facendo. Stava quasi arrivando alla fermata della Bottega, quando improvvisamente vide una macchina dietro il bus, gli sembrò di riconoscere il tipo all'interno, forse il suo coinquilino forse nessuno dei due. Strattonò una ragazza con lo zaino e diede una spallata ad un'altra con le Hogan e riuscì a scendere prima che le porte si chiudessero. Fuori si fermò. Le macchine dietro proseguirono. La luce gialla sul tufo rilasso i suoi occhi. Allora accese una sigaretta e s'incamminò.
lunedì 4 giugno 2012
La tour
Ti vedo ancora,
come fuochi d'artificio
scorti da lontano
dove lo scoppio non colpisce
e solo una vista opaca
e luminescente
ricorda che di là
qualcuno sorride,
si copre i lobi tremolanti.
L'ebrezza del boato,
il fatto che non sia vero
è proprio quello che mi manca di te.
sabato 3 marzo 2012
L'île
se non parlo
per non sprecare lacrime
il silenzio
scava le righe dove
i pensieri scivolano
lenti e acidi.
ma niente si scioglie.
mi ritrovo fermo
costretto nel tempo degli altri
come in una continua risacca
che mi riporta
solo vite di seconda mano.
lunedì 27 febbraio 2012
Attentes
Debout, je descends
les escaliers de mon coeur,
en cherchant de m'eloigner
par ce que j'imagine être
mon future,
de ce que, en fait, est
le chagrin que me brûle la poitrine,
qui me réveille la nuit,
qui me fait oublier tous
sauf que lui même.
Je ne suis plus debout,
mais assis sur les marches,
en attendant d'être guéri.
domenica 5 febbraio 2012
Leggere Lolita a Teheran - Azar Nafisi
Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per convincermi a partire, eppure quando si era accorto che me ne andavo sul serio, che alla fine era tutto deciso, non era felice per me. Forse era deluso. O forse pensava che la mia partenza fosse una specie di giudizio su chi mi lasciavo alle spalle.
Credo che prima di tutto questo libro sia un libro scritto da una lettrice per altri lettori. Questo emerge dalla voglia, dall'invito alla lettura che ti lascia pagina dopo pagina dove la critica dei libri si unisce al romanzo "Leggere Lolita a Teheran". Purtroppo non sono molto ferrato in critica letteraria ed è per questo che non sono riuscito a cogliere a pieno le intuizioni brillanti che sono celate nelle ricostruzioni del seminario tenuto dalla stessa professoressa Nafisi ogni giovedì mattina nel suo appartamento di Teheran. Quello che ho colto e che ho apprezzato è la capacità di sovrapposizione di stilemi letterari diversi alla realtà della Repubblica islamica che accresceva la sua brutalità e repressione di giorno in giorno, di pagina in pagina. Questo è anche un libro molto femminile che però può servire a noi uomini a capire come le differenze di gender, soprattutto in certi contesti, possano realmente fare la differenza tra una vita normale e una sorta d'inferno quotidiano. Infatti quello che a mio parere traspare dal romanzo documentario della Nafisi è come nel contesto iraniano per un uomo, seppur con i suoi valori e la sua fermezza, l'adattamento era ed è una questione molto più semplice e alla portata di quanto non lo possa essere per le donne la cui stessa identità e personalità è stata annullata travalicando i confini del politico e sbarcando nel campo semantico di quello che fa di noi persone. Paradossalmente divertente la contraddizione in cui cadono religiosi e sedicenti tali, che a causa della loro autorità riescono a imporre la superiorità formale dell'uomo, ma che poi sono terribilmente imbarazzati e pudici da non riuscire a sostenere un contatto d'occhi con una donna arrivando quasi a impazzire per una ciocca di capelli fuori posto o una traccia d'ombretto sugl'occhi, spesso reagendo a ciò con violenza e spropositatezza.
Inoltre come già detto il libro è anche un documentario e unitamente una condanna, diventando così un romanzo i cui protagonisti, al di là della Nafisi, rischiano di scomparire per diventare le studentesse e gli studenti iraniani, per diventare l'intelligentia iraniana, per diventare infine la voce di tutto un Iran che dice no alla Repubblica Islamica.
Infine il NO che la Nafisi riesce a dire è partire, decisione travagliata, ma alla fine subitanea. Partire come unica risposta alla realtà. Questo dilemma è quello che mi ha coinvolto anche a me direttamente e qui anche io azzardo un parallelismo con me. Sicuramente né io né voi (chi sarete poi? nessuno) viviamo in una situazione analoga all'Iran, ma a volte penso come vivere in paese così frustrante come il nostro fatto di burocrazia, favoritismi e conoscenze dove mi sento immobile a un passo dal mio futuro che sembra non poter arrivare mai. Andarsene altrove anche qui potrebbe essere la soluzione, ma è anche vero che un paese vuoto rimarrebbe il paese di chi nel nero ci vive bene e che anzi lo coltiva a suo piacimento. Andarsene più che un giudizio sugli altri è forse più un giudizio su noi stessi.
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