Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per convincermi a partire, eppure quando si era accorto che me ne andavo sul serio, che alla fine era tutto deciso, non era felice per me. Forse era deluso. O forse pensava che la mia partenza fosse una specie di giudizio su chi mi lasciavo alle spalle.
Credo che prima di tutto questo libro sia un libro scritto da una lettrice per altri lettori. Questo emerge dalla voglia, dall'invito alla lettura che ti lascia pagina dopo pagina dove la critica dei libri si unisce al romanzo "Leggere Lolita a Teheran". Purtroppo non sono molto ferrato in critica letteraria ed è per questo che non sono riuscito a cogliere a pieno le intuizioni brillanti che sono celate nelle ricostruzioni del seminario tenuto dalla stessa professoressa Nafisi ogni giovedì mattina nel suo appartamento di Teheran. Quello che ho colto e che ho apprezzato è la capacità di sovrapposizione di stilemi letterari diversi alla realtà della Repubblica islamica che accresceva la sua brutalità e repressione di giorno in giorno, di pagina in pagina. Questo è anche un libro molto femminile che però può servire a noi uomini a capire come le differenze di gender, soprattutto in certi contesti, possano realmente fare la differenza tra una vita normale e una sorta d'inferno quotidiano. Infatti quello che a mio parere traspare dal romanzo documentario della Nafisi è come nel contesto iraniano per un uomo, seppur con i suoi valori e la sua fermezza, l'adattamento era ed è una questione molto più semplice e alla portata di quanto non lo possa essere per le donne la cui stessa identità e personalità è stata annullata travalicando i confini del politico e sbarcando nel campo semantico di quello che fa di noi persone. Paradossalmente divertente la contraddizione in cui cadono religiosi e sedicenti tali, che a causa della loro autorità riescono a imporre la superiorità formale dell'uomo, ma che poi sono terribilmente imbarazzati e pudici da non riuscire a sostenere un contatto d'occhi con una donna arrivando quasi a impazzire per una ciocca di capelli fuori posto o una traccia d'ombretto sugl'occhi, spesso reagendo a ciò con violenza e spropositatezza.
Inoltre come già detto il libro è anche un documentario e unitamente una condanna, diventando così un romanzo i cui protagonisti, al di là della Nafisi, rischiano di scomparire per diventare le studentesse e gli studenti iraniani, per diventare l'intelligentia iraniana, per diventare infine la voce di tutto un Iran che dice no alla Repubblica Islamica.
Infine il NO che la Nafisi riesce a dire è partire, decisione travagliata, ma alla fine subitanea. Partire come unica risposta alla realtà. Questo dilemma è quello che mi ha coinvolto anche a me direttamente e qui anche io azzardo un parallelismo con me. Sicuramente né io né voi (chi sarete poi? nessuno) viviamo in una situazione analoga all'Iran, ma a volte penso come vivere in paese così frustrante come il nostro fatto di burocrazia, favoritismi e conoscenze dove mi sento immobile a un passo dal mio futuro che sembra non poter arrivare mai. Andarsene altrove anche qui potrebbe essere la soluzione, ma è anche vero che un paese vuoto rimarrebbe il paese di chi nel nero ci vive bene e che anzi lo coltiva a suo piacimento. Andarsene più che un giudizio sugli altri è forse più un giudizio su noi stessi.
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