
(Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi, 1º novembre 2009)
Pigiati nei vagoni merci, si stava scomodi: alla prima sera, approfittando di una fermata, Cesare e io scendemmo a terra, per sgranchirci le gambe e trovare una migliore sistemazione. Notammo che in testa erano vari vagoni passeggeri, e un vagone infermeria: sembrava vuoto. - Perché non ci saliamo? - propose Cesare. -E' proibito, - risposi io insulsamente. Perché infatti doveva essere proibito, e da chi? Del resto, avevamo già potuto constatare in varie occasioni che la religione occidentale (e tedesca in specie) del divieto differenziale non ha radici profonde in Russia.
Il vagone infermeria non solo era vuoto, ma offriva raffinatezze da sibariti. Lavatoi efficienti, con acqua e sapone; sospensioni dolcissime che attutivano le scosse delle ruote; meravigliosi lettini appesi a molle regolabili, completi di lenzuola candide e coperte calde. Al capezzale del letto che avevo scelto, dono supererogatorio del destino, trovai addirittura un libro in italiano: I ragazzi della via Paal, che non avevo mai letto da bambino. Mentre i compagni già ci dichiaravano dispersi, trascorremmo una notte da sogno.
Ancora ripensava agli anni passati tra il suo appartamento nel ghetto e la sede del partito. Tra l'inazione e le parole, con cui costruiva meravigliose impalcature e su cui poggiava ogni sua spiegazione. A quei tempi la Spagna sembrava solo un posto vagamente esotico dove la gente si prendeva un po' troppo sul serio e comunque un posto troppo lontano da Varsavia, per perdervi la vita. Eppure se ne era parlato ovunque, coi compagni, coi colleghi - alcuni di loro erano addirittura andati a sparare ai fascisti. Lui, dal canto suo, si accontentava di sparare sentenze sulle sovrastrutture politiche e gli intrecci economici che facevano si che questa fosse solo una farsa di gente dal sangue mediterraneo, e che loro, grazie ai compagni russi, non avrebbero avuto nulla da temere. Il tempo passava, ma al giovane Shlomo l'idea di combattere per qualcosa di così intangibile, di combattere per un'idea – per quanto la si potesse condividere – sembrava qualcosa di così immaturo, da non volersi compromettere, rimanendo lasso sull'amaca delle sue proposizioni. Anni dopo in treno, gli ritornò in mente la diatriba di quei tempi, e di nuovo si arrovellò, ma con spirito nuovo, si chiedeva come sarebbe stato morire per la sua idea, cosa avranno provato i suoi compagni nel farlo e l'esperienza delle trincee, la prima linea contro un nemico chiaro ed identificabile. Pensava ancora a questo quando giunse a Birkenau.
"L'amore è sempre stato di bocca buona riguardo ai suoi primi alimenti. Le prime conversazioni dell'amore assomigliano agli omogeneizzati dei bambini. Non importano gli ingredienti, tanto è di altro che si parla. L'amore sfida le leggi della dietetica, si nutre di tutto e un niente lo nutre. Si son viste autentiche passioni nascere da conversazioni così povere di proteine da reggersi a stento in piedi."
Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio s'archipatta.
E' frusco il lonfo! E' pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e t'arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t'alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.