martedì 3 novembre 2009

Alle Ceneri


Claude Lévi-Strauss
(Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi, 1º novembre 2009)


martedì 20 ottobre 2009

la Repubblica come partito


Fortunatamente il mio seguito inesistente mi consente - come sempre - di spararle grosse, senza paura di essere frainteso. I miei post precedenti pur non essendo gran roba mi schierano in maniera più o meno netta, questo potrà essere d'aiuto.
In questo periodo il premier va accusando costantemente uno dei maggiori quotidiani italiani - la Repubblica - definendolo alla stregua di un partito.
Primo non capisco cosa ci possa essere di male, quando non si ha dietro un partito ma si è un partito tout court, per così dire. Secondo io do ragione al premier (si si!).

Max Weber diceva che i partiti si caratterizzano per essere formalmente organizzati, basati su partecipazione volontaria, e orientati ad influenzare il potere. Essi sono 'associazioni fondate su un'adesione (formalmente) libera, costituite al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all'interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità (ideali o materiali) per il perseguimento di fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e due gli scopi' *

Mi piace pensare che il premier dia queste definizioni leggendo Weber o quanto meno i Fondamenti della Scienza Politica del Cotta & C. quando spara così in alto.Non penso io che Repubblica in se sia un emanazione del PD, fortunatamente non è così. Essa trova continui punti di distacco con il Partito Democratico, ma com'è normale che sia ne trova altrettanti di congruenza.

Facendo un analisi poco formale ed ortodossa (cosa che posso fare qui e non altrove) della definizione appena citata si può dire che Repubblica è:

- formalmente organizzata (statuto, giuramento dei giornalisti di uno statuto morale del giornale)
- basato sulla partecipazione volontaria (nessuno impone a giornalisti e lettori di scrivere/leggere Repubblica)
- sicuramente orientato ad influenzare il potere
- mira ad attribuire posizoni di potenza ai suoi militanti attivi (penso anche agli stessi lettori, percependo Repubblica come qualcosa di unitario)


Repubblica, nasce nel 1976, come espressione di qualcosa di ancora in potenza, una sorta di Partito Democratico ante litteram, basato sui valori riformisti (ma fermi - cit. Stefano B.) di una sinistra che non trovava espressione in parlamento. Questo orientamento ha fatto si che col passare degli anni Repubblica abbia assunto la capacità di formare un punto di opinione autonomo, capace di muovere (nel bene o nel male, io non posso dirlo) molte persone e molti elettori, insomma qualcosa che va al di là della semplice analisi politica.

Continuando a leggere da i Fondamenti della Scienza Politica si ha "è grazie ai partiti che si può aspirare ad un controllo dei governati sui governanti. Da questo punto di vista, i partiti sono strumenti di collegamento tra governo e cittadini. Creando dei canali di comunicazione tra governati e governanti, essi permettono ai primi di controllare i secondi"**.

L'anomalia del sistema politico italiano, basata su un'incapacità congenità di saper raccogliere e canalizzare gli interessi espressi dall'ambiente, per darne risposte coerenti (che in questo momento riguarda forse più la sinistra), è lampante. Questo vuoto si deve auto-riempire, il sistema in qualche modo deve ammortizzare le carenze: ed così che entrano in maniera pesante nel mondo della poltica attiva elementi come sindacati (CGIL), associazioni di categoria (Confindustria, etc.) e anche la stampa (Repubblica, appunto), situazione anomala per un paese come l'Italia in cui la politica non è basata su gruppi d'interesse (lobbies), come ad esempio accade - in maniera più istituzionalizzata - negli USA.
Ritornando alla citazione - quello che voglio dire - è che molti non si riconoscono nel partito e vedono in queste forme alternative di rappresentanza, il solo modo di effettuare un - seppur infinitesimo - controllo sui c.d. governanti.
Io [lettore generico] compro Repubblica, e il mio acquisto è come un voto che io do a chi mi sembra capace di applicare un controllo e di dare un indirizzo (tramite i suoi articoli e petizioni e inchieste e tutti gli strumenti tipici di un giornale) a chi siede in Parlamento. L'autorità di fare questo la do io e gli altri lettori ( che come me non si sentono rappresentati dai partiti istituzionali).

Questo pistolotto assurdo che sto portando avanti mi è stato ispirato dagli interventi di domenica di Ezio Mauro ( a "in mezz'ora" di Rai3) e di Scalfari (nel classico editoriale domenicale) dove - in buona sostanza [citando l'avvocato di Johnny Stecchino :)] - s'invita ad andare a votare alle primarie del PD di domenica 25, anche per votare scheda bianca, come forse faranno anche loro.
Questo fatto, conferma un po' quello che ho detto (forse) ed è comunque indice di due fattori: sicuramente la convinzione di poter avere una grossa influenza sui propri elettori, e in secondo luogo la volontà di esprimere il loro malcontento delle candidature espresse dalla dirigenza del Partito. Emerge qui la funzione rappresentative, interlocutoria del giornale come partito, che non può esserlo in maniera istituzionale e cerca di farlo, suo malgrado, in maniera indiretta.

Concludendo qui, prima che il mio pc si rifiuti di contribuire alla diffusione di cotante minchiate, dico che io non ci trovo niente di male e che in Italia (senza voler dare accezioni negative) sia quasi doveroso.



* Cotta, della Porta, Morlino - Fondamenti della Scienza Politica, Il Mulino, Bologna, 2001, pag.173
** Ibidem, pag.175



Links:
AssoComunicazione (dati relativi alla diffusione della stampa - fonte ADS)
la Repubblica (Wikipedia)


lunedì 27 luglio 2009

L'empatia del lettore e possibili parallelismi tra Delitto e Castigo e Lolita



Il caldo estivo fa delirare anche le menti più sane, quindi anche la mia già di per se predisposta alla vanagloria. Tormentato dunque dalle alte temperature rifuggo negli spasmi del mio blog prima di andarmi a tuffare in un mare che mi ha accolto agitato e ventoso.
A qualche mese di distanza - dopo Delitto e Castigo - ho letto Lolita di Vladimir Nabokov, ecco questo post vorrebbe ragionare su un parallelismo - pressoché inesistente - tra le figure dei due protagonisti centrali di questi due romanzi: Raskolnikov e Humbert Humbert.
Tutto parte dalla discussione avuta con una fan di Delitto e Castigo che definiva lo stesso come un romanzo plagiante, nel senso che Dostoevskij ci porta quasi a farci giustificare ed apprezzare il suo Raskolnikov, per quanto nonviolenti ed inani possano essere i suoi lettori. Effettivamente pagina dopo pagina è come se il lettore subisse un inconscio mutamento della percezione che ha del protagonista e parallelamente della percezione che ha di se stesso, più l'autore ci coinvolge nella mente di Raskolnikov, più assistiamo ai suoi deliri più ci sembra che non si sarebbe potuto agire diversamente. Interessante è anche notare come il personaggio caratterizzato essenzialmente come il buono di Delitto e Castigo - Razumichin - identico in tutto e per tutto -nella condizione - a Raskolnikov, nonostante capisca il fardello che preme sulla coscienza del suo ex compagno di studi, faccia di tutto per aiutare lui e la sua famiglia, nonostante lui non lo condivida. Forse è anche per questo che può capitare di immedesimarsi in Razumichin, noi - anche non essendolo - ci sentiamo buoni, ma non possiamo fare a meno di provare una certa empatia per Raskolnikov quando ci espone in maniera così perfetta le sue teorie sui pidocchi della società o sui morti delle battaglie napoleoniche - di cui nessuno si sogna di accusare il generale francese.
A me pare che lo stesso avvenga in Lolita. Tutti sappiamo che quello che si sta delineando è una relazione morbosa, un continuo stupro e abuso di una ragazzetta che all'inizio del romanzo ha solo dodici anni, ma è come se Humbert ci conquistasse con la sua poesia, con i suoi francesismi e i suoi soprannomi scanzonati: tutto ci sembra prescindibile tutto ci sembra un atto d'amore nei confronti della sua Lo; quanto invece è solo la deviazianza di chi ha subito un grosso trauma erotico/esistenziale (questa forse me la potevo risparmaire) durante la sua pubertà. Qui si vede l'astuzia di Nabokov: per l'intero romanzo egli non lascia che intravedere i punti di vista del mondo circostante, lasciandoci persuadere lentamente dalla visione onnicomprensiva del patetico amore di Humbert.
Un altro punto in comune passa (sempre per me ed il caldo estivo) per la redenzione dei due personaggi. Tutti e due avvenuti dopo una punizione. Raskolnikov, nonostante le sue idee cerca il suo Castigo per assurgere a vita nuova. La mia fan (di Delitto e Castigo - non di me Peppe) si lamentava della errata traduzione del titolo in italiano - prestuplenie y nakazavie si dovrebbe infatti tradurre crimine e punizione - ma io obbiettavo che è come se in italiano si esplicitasse in maniera maggiore il livello interno del percorso raskolinkoviano. Più il lettore si convince e più Raskolnikov delira, più il senso di colpa lo divora e inconsciamente gli incomincia a mancare l'iniziale sangue freddo quasi come se il protagonista si volesse gettare tra le braccia di Porfirij (l'ispettore di polizia) per poter finalmente espiare la sua colpa in modo da iniziare a vivere insieme alla sua Sonecka - scelta per di più tra quelli che si potrebbero benissimo identificare con coloro che lui definisce i pidocchi della società. Raskolnikov ha bisogno dell'espiazione formale della legge per completare il suo percorso.
Contrariamente Humbert è pianificatore, lui rifugge dalla polizia e istruisce per bene la sua scimmietta. La sua espiazione passa per un processo esterno legato in tutto e per tutto al tempo e a Lolita. Dolores era - infatti - sin dall'inizio "condannata" ad uscire dalla sua condizione di ninfetta, e Humbert ne era consapevole e spaventato; quello che non sapeva era che la sua Lo sarebbe stata la chiave della sua guarigione, Humbert riesce finalmente a possedere la sua ninfetta, e Lolita fa le veci di quello che non riuscì - in maniera del tutto sana - a raggiungere con la sua Annabel in quell'estate sulla Costa Azzurra. Humbert infine riesce a smettere di amare la Lolita ninfetta e comincia ad amare Dolores. La sua punizione in questo caso è il distacco, è la fuga di Lolita con l'impenitente drammaturgo. Sono questi anni di mancanza che fanno crescere in Humbert la consapevolezza che potrebbe amare Lolita al di la della sua età, e difatti Nabokov ce ne da la conferma quando al momento del ricongiungimento, Humbert nonostante trovi il suo amore sfiorito della pubescenza che tanto lo aveva attratto e addirittura incinta le propone di andare a vivere insieme e capisce di amarla per quello che era.
Mi sembra di aver sprecato già abbastanza lettere per un post che è solo frutto del caldo e che purtroppo - a causa delle mie mancanze pedagogiche - resterà destinato solo a chi a letto entrambi i libri. Credo infine di aver sbagliato molti tra nomi e situazioni ma il tutto è stato scritto senza l'ausilio dei testi e di una connessione internet che mi aiuta spesso a correggere la mia memoria. Ora mare, poi pranzo e infine pisolino salmastro.

domenica 21 giugno 2009

Musavi e la folla


Sono sempre un po' imbarazzato quando ho la presunzione d'imbarcarmi in questo genere di discorsi, che non dovrebbero attingere alla larga fonte della sbrodolutura personale, ma dovrebbero più assomigliare ad un'analisi. In questo caso di tratta di considerazioni.
Il 12 giugno si sono celebrate le elezioni per la rielezione del premier iraniano. La sfida principale era tra il candidato vicino alle posizioni dei Guardiani della Costituzione, Mahmood Ahmadinejad; e il candidato riformista Mir-Hosein Musavi. Entrambi scelti - insieme agli altri due candidati minori - dallo stesso Consiglio dei Guardiani, il 20 maggio scorso.
Dapprima Musavi aveva annunciato la sua vittoria, viene poi smentito dal premier uscente che poi risulterà il vincitore con più del 60% dei voti. Da qui scontri e manifestazioni - che hanno provocato decine di morti - e che si protraggono sino ad adesso. Questi nella sostanza protestano contro il risultato elettorale: affermando l'esistenza di brogli.
Il discorso che vorrei intraprendere non si basa sulla legittimità - o meno - delle suddette elezioni, ma più che altro sulle responsabilità in cui si sta imbarcando Musavi.
Andiamo per ordine. Il 16 giugno - quattro giorni dopo le elezioni - il presidente Obama indica il re nudo affermando alle agenzie di stampa la grande somiglianza - che effettivamente penso vi sia - tra i due candidati, entrambi graditi al consiglio, entrambi sostenitori della politica nucleare dell'Iràn ed entrambi sostanzialmente devoti alla Repubblica Islamica e al suo ordinamento teocratico. Significativo è anche il fatto che lo stesso Musavi sia stato (dal 1981-'89) Primo Ministro sotto Khomeyni e prima ancora Ministro degli esteri.
Questa ambiguità che abbiamo visto profilarsi è andata tutta via scemando nello spirito generale della protesta. Infatti - a mio parere - nelle folle se da una parte ci sono i veri sostenitori - effettivamente fedeli a Musavi - affianco a loro si trovano difensori della democrazia toto corde.
Adesso poniamo il caso che questo grade casino porti il riformista Musavi al potere, che Khamenei e il suo consiglio - pur di non far perdere legittimità alla Rivoluzione Islamica - cedano e diano il potere a Musavi. Questi come dovrebbe rispondere alla folla? Come spiegare ai democratici, a chi sperava in un'ondata "reazionaria" che sovvertisse il regime degli ayatollah, che in fondo lui non ha nientre contro di loro?
Credo infatti che Musavi stia facendo un errore di calcolo: chiamando - non solo i suoi elettori, ma tutto il popolo - ad una rivolta di massa contro non si sa bene chi, in modo tale da attirare intorno a se il più grande consenso.
Egli però non ha di fronte solo il "suo" popolo, ma anche un'arena internazionale che sempre di più sta isolando Theran e che in questi termini potrebbe vedere in lui (Obama permettendo) la chiave di volta per penetrare il chiuso sistema persiano.
Essendo che io non sono bravo a dare soluzioni, ma soltanto ad abbattere alberi nella foresta, me ne resto col mio dubbio e con la vanità di aver espresso le mie opinioni.


martedì 9 giugno 2009

Ex libris

Pigiati nei vagoni merci, si stava scomodi: alla prima sera, approfittando di una fermata, Cesare e io scendemmo a terra, per sgranchirci le gambe e trovare una migliore sistemazione. Notammo che in testa erano vari vagoni passeggeri, e un vagone infermeria: sembrava vuoto. - Perché non ci saliamo? - propose Cesare. -E' proibito, - risposi io insulsamente. Perché infatti doveva essere proibito, e da chi? Del resto, avevamo già potuto constatare in varie occasioni che la religione occidentale (e tedesca in specie) del divieto differenziale non ha radici profonde in Russia.
Il vagone infermeria non solo era vuoto, ma offriva raffinatezze da sibariti. Lavatoi efficienti, con acqua e sapone; sospensioni dolcissime che attutivano le scosse delle ruote; meravigliosi lettini appesi a molle regolabili, completi di lenzuola candide e coperte calde. Al capezzale del letto che avevo scelto, dono supererogatorio del destino, trovai addirittura un libro in italiano: I ragazzi della via Paal, che non avevo mai letto da bambino. Mentre i compagni già ci dichiaravano dispersi, trascorremmo una notte da sogno.

Primo Levi - La Tregua




Scrivevo oggi una lettera morta, riportando questo stralcio di Levi che ho riportato anche qui. Ne discussi un giorno anche con il mio prezioso mentore e correttore preciso di inutile bozze. Perché si legge? Perché si arriva ad avere il vizio della carta stampata (come dirà lo stesso Levi qualche pagina più tardi), arrivando ad assurgere il libro a feticcio?
Il pensiero è che non vi è letteratura che non sia di evasione. Nel senso che si legge sostanzialmente perché molte volte si ha paura, si ha paura di noi stessi, dei nostri stessi pensieri - che sopraggiungono veloci - appena ci distacchiamo dalla preziosa parola stampata. La nostra mente è debole, non è capace di autodifendersi ed ha bisogno di un aiuto. Per lo più si legge narrativa, evasione per eccellenza, dove si racconta di altre vite, di altre storie. Queste a volte sono vere, a volte surreali, di sicuro altre. Chiaramente più si va avanti e più subentra anche un gusto particolare, ma in momenti del tutto bui si leggerebbe anche un trattato di ostetricia in tedesco (1). Si può leggere per non aver paura di morire.
Da questa condizione di dipendenza, da questo attaccamento morboso per l'evasione, nasce l'attaccamento al libro - che può avere un substrato consumistico - come oggetto fisico, ma è l'unica chiave di accesso all'altro da se. Forse per questo droghe (2) e libri non vanno d'accordo in me: forse mi sento troppo lontano da me, forse sono due escamotage che non collimano tra di loro, forse - più prosaicamente - la droga non favorisce la concentrazione, e la fuga ex libris ne richiede per essere totale ed appagante.


(1) Come farà Levi qualche pagina dopo.
(2) Per le forze dell'ordine :"Giuro che ormai si parla di qualche canna ogni due o tre mesi!"

lunedì 25 maggio 2009

Ritorno a casa

Era rimasto solo intrecciando tra le dita le perle del suo ultimo discorso. Aveva sognato un falò, quella sera. Ed una spiaggia così simile a lui da farlo svegliare con gli occhi cisposi e la pelle salmastra. Roteava le parole tra le dita ed ancora si accarezzava la guancia dove si erano fermati i suoi sogni appena qualche ora prima.
In effetti non ricordava molto, quasi che il torrente di vocali di cui la sua bocca secerneva il suono fosse indipendente. C'era sicuramente un giardino in cui il vestito dei suoi amori passati danzava ebbro e provocante. C'erano bicchieri rossi e amari e luci ovattate che addensavano il fumo di una CAMEL proibita, tra il tintinnio luccicante degli spiccioli e delle chiavi della chiusura.
Sentiva che c'era un fondo di delitto in quello che faceva e le Sue parole ne furono il simmetrico castigo.
Si sedette. Lui le stava innanzi imbarazzato dei suoi sentimenti e del suo tasso alcolico. Avrebbe solo voluto spostarle i capelli dietro l'orecchio, scansarle le dita dalle labbra e alzandole lo sguardo nascosto, baciarla.
Si limitò a raccogliere le perle dalle valve del suo senno ed una dietro l'altro imbastirle per far suonare i suoi pensieri come frasi.
Disse.
- Quello che io provo è amore, perché non ti conosco e ti penso e mi manchi.
Continuò ispirato.
- E' come la differenza tra arte e mestiere. La prima esplode da chi l'ha dentro verso il mondo, e da me verso te. Senza ragione, senza testa. Il resto è mestiere, è pazienza, è il frutto del calcolo e della buona volontà.
Pensò.
"Spero che il tuo amore sia arte e che per questo tu possa essere felice nella bellezza del tuo amore."
L'accompagnò, infine. Protetto dalle fiere della notte che, sulle loro colonne mute, tutto sanno e niente confessano. Lei gli sfiorò la guancia alzandosi sulle punte dei piedi e lui si svegliò con gli occhi cisposi e la pelle salmastra.

mercoledì 6 maggio 2009

Galleria delle Parole






Oh, se fossi solo e nessuno mi amasse, se io stesso non avessi mai amato nessuno! Tutto questo non ci sarebbe!


Fëdor Dostoevskij -Delitto e Castigo






lunedì 27 aprile 2009

L'attrazione turistica

Passando tutti ridevano di lui, lo guardavano e lo paragonavano ai loro amici più buffi e brutti; con i suoi occhialini da lettura, il suo volto peloso e i denti vagamenti sporgenti ispirava le similitudini pù basse. Tutti in via di Città lo conoscevano, sempre altero e taciturno di fronte la sua bottega. I senesi quasi non si accorgevano più di lui, ma per i turisti era quasi meglio del Campo e della Torre. Col tempo s'incominciò ad abituare e fortunatamente la notte, con i suoi amici dentro la bottega, non lo poteva vedere nessuno. E pensare che loro avevano avuto in sorte un aspetto ben più crudo, lui - anzi - nonostante gli anni, sembrava rimaner giovane come durante la sua adolescenza, nonostante ciò continuava a non spiegarsi come mai quando gli avventori della bottega vedevano i suoi fugaci compagni di vita era tutto uno sperticarsi di complimenti e smorfie di piacere. Un giorno, però, uno sfrontato di giapponese - in cerca di souvenir caratteristici - arrivò a puntargli l'obiettivo della camera, proprio sotto il suo mento pronunciato, fu così - che dal riflesso sghimbescio del vetro convesso - tutte le spiegazioni gli caddero addosso come la mela cadde a Newton. Dapprima egli se ne sconvolse e se ne rammaricò, ma poi capì e da quel momento smise di provare quella sottile invidia verso i suoi amici della bottega, certo era dura essere una testa di cinghiale impagliata con sotto appeso un cartello che recitava da sempre "Oggi Porchetta", ma almeno lui - pensò con orgoglio - sarebbe rimasto bello come quando era un giovane cinghialotto selvatico e in più non sarebbe mai stato mangiato da nessun tedesco in calzoncini e sandali.

venerdì 17 aprile 2009

Nothing to do!







Qual è il colmo per un catalogo di materassi? Saper di già letto!







mercoledì 15 aprile 2009

Speranza










mi fischiavano le orecchie, speravo fossi tu - invece era un'otite






sabato 11 aprile 2009

Galleria delle Parole

Auguries of Innocence

To see a World in a grain of sand,
And a Heaven in a wild flower,
Hold Infinity in the palm of your hand,
And Eternity in an hour.

Gli auguri dell’Innocenza


Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora.

William Blake

giovedì 9 aprile 2009

Rinnovamenti








"Sento che la ruota della fortuna sta girando - credo che tra un po' mi schiaccerà"







lunedì 6 aprile 2009

A fortiori

Ancora ripensava agli anni passati tra il suo appartamento nel ghetto e la sede del partito. Tra l'inazione e le parole, con cui costruiva meravigliose impalcature e su cui poggiava ogni sua spiegazione. A quei tempi la Spagna sembrava solo un posto vagamente esotico dove la gente si prendeva un po' troppo sul serio e comunque un posto troppo lontano da Varsavia, per perdervi la vita. Eppure se ne era parlato ovunque, coi compagni, coi colleghi - alcuni di loro erano addirittura andati a sparare ai fascisti. Lui, dal canto suo, si accontentava di sparare sentenze sulle sovrastrutture politiche e gli intrecci economici che facevano si che questa fosse solo una farsa di gente dal sangue mediterraneo, e che loro, grazie ai compagni russi, non avrebbero avuto nulla da temere. Il tempo passava, ma al giovane Shlomo l'idea di combattere per qualcosa di così intangibile, di combattere per un'idea – per quanto la si potesse condividere – sembrava qualcosa di così immaturo, da non volersi compromettere, rimanendo lasso sull'amaca delle sue proposizioni. Anni dopo in treno, gli ritornò in mente la diatriba di quei tempi, e di nuovo si arrovellò, ma con spirito nuovo, si chiedeva come sarebbe stato morire per la sua idea, cosa avranno provato i suoi compagni nel farlo e l'esperienza delle trincee, la prima linea contro un nemico chiaro ed identificabile. Pensava ancora a questo quando giunse a Birkenau.



Si ringrazia Stefano B. alias Winston Smith per l'idea (vedi New Alexandria sulla barra dei siti amici)

sabato 21 marzo 2009

De pulchritudine

E' già passata una settimana da quando disorientato nel cortile di una corte ne corteggiavo il miracolo. Gira e rigira mi sono ritrovato a testa in giù con il mio pard sardo a parlare della bellezza e del suo rapporto con l'Onnipotente. Mi chiedevo e chiedevo: ma se Dio esiste come può esistere la bellezza? Ecco, pensavo cercando di rispondermi, molti - cercando di provare l'inesistenza di Dio - sottolineano la presenza nel mondo di guerre, carestie etc. etc. ma queste sono, a mio parere, da attribuire all'inesistenza di Uomini, arrivo pure a comprendere la giustificazione clericale massima: il libero aribitrio - anche se a me l'arbitro sembra un po' venduto -
Dicevo, la bellezza è la prima e forse unica lotteria naturale che ti segna da quando vieni concepito, la combinazione dei tuoi geni, dall'istante della fecondazione, segna in bene o in male la tua vita. Io parto da una considerazione elementare e cioè :"il bello piace, il brutto no". Quello che dico può forse risultare come limitante riguardo a quello che può poi essere la persona tout court, ma la bellezza o la bruttezza riguardano tutti gli ambiti della nostra vita. E' anche ovvio che ci sono ambiti in cui la bellezza non è determinante, ma resta a mio parere quel quid che ti apre le porte della felicità di ogni giorno. Cerco di spiegarmi: io non mi reputo né bello né brutto, e ho un rapporto molto ironico con la mia immagine allo specchio, ma diciamo che questo atteggiamento è il frutto di attente riflessioni che mi hanno fatto maturare. Pensate cosa può essere lo specchio tutte le mattine per un brutto vero, oggettivo, il mondo deve sembrare e sembra un regno governato da una elite di belli da cui tu sarai sempre escluso per colpa di nessuno o al massimo dei tuoi genitori che ti hanno fatto brutto. Un altro aspetto fondamentale è la vita di relazione, se siete brutti starete con un brutto a meno che un bello non vi scelga e non c'è altra soluzione di sorta.
Quindi oh mio caro e buon Dio, so di essere magari un po' manicheista (anche se sei tu ad averci suddivisi così) e che in fondo la vita ha infinite scale cromatiche, ma come negare quello che ho appena esposto in questo post assurdo e inutile come una bella ad un concorso di bruttezza (che tra l'altro finirebbe per vincere - in quanto nessun vero brutto vorrebbe vincere il concorso che lo consacra come tale - rimanendo pur sempre sicura della sua bellezza). Come credere che distribuisci occhi verdi e glaucomi con la stessa facilità e spensieratezza con cui io butto giù una Ichnusa insieme al suddetto pard. Forse scrivo questo perché non sono talmente maturo e vorrei essere bello.

mercoledì 11 marzo 2009

Galleria delle Parole


a chi lo sa,
sperando nella nostra conversazione



"L'amore è sempre stato di bocca buona riguardo ai suoi primi alimenti. Le prime conversazioni dell'amore assomigliano agli omogeneizzati dei bambini. Non importano gli ingredienti, tanto è di altro che si parla. L'amore sfida le leggi della dietetica, si nutre di tutto e un niente lo nutre. Si son viste autentiche passioni nascere da conversazioni così povere di proteine da reggersi a stento in piedi."



Daniel Pennac - Signor Malaussène



lunedì 16 febbraio 2009

Memoria ad hoc

Eccomi dopo un po' a parlare di politica, forse la lunga diserzione, forse il quadro confusionario del post, faranno si che il tutto risulti un po' boulversé. Il 10 di questo mese si è celebrato il giorno della memoria delle vittime delle foibe, giornata giusta e doverosa, come quella subito precedente del 27 gennaio per le vittime dell'olocausto nazista. Diciamo che per prima cosa è particolare questa vicinanza di date, così uguale nella tragica sostanza umana, così differente sotto la côté politica dell'avvenimento. Il ricordo e la memoria, difatti, come tutte le problematiche in Italia (vedi caso Englaro), subiscono purtroppo, la schiacciante e omnicomprensiva longa manus della politica. La giornata del 10 febbraio sembra ormai impregnata di una sorta di revanscismo da parte di una destra che non sopporta di essere additata come l'unica erede di una storia caratterizzata dall'atrocità dei suoi atti; infatti in questo giorno si vedono tutti questi individui scagliarsi con veemenza contro comunisti di ieri e di oggi, finalmente anche loro eredi di un passato sconveniente, leggi crudele e orrendo. In questo modo, attraverso le strumentalizzazioni di queste giornate, le temporanee incarnazioni del bene mirano ad una sorta di autolegittimazione ex-post del tutto sterile e fuorviante, in cui la memoria viene utilizzata per giustificare il presente. Di questo passo, temo, si andrà in contro alla sciagurata ipotesi che esisteranno - a seconda della parte dalle quali le si guarda - stragi da giustificare e altre da condannare - e quindi ricordare. -
La domanda, in conclusione è, fino a quando la storia sarà letta sotto la lente miope della politica? Fino a quando, avremo una classe politica che per partito preso non festeggia il 25 Aprile, in quanto di sinistra? Non sarebbe meglio utilizzare la memoria come monito, affinché ciò che è accaduto non accada mai più?

mercoledì 21 gennaio 2009

la physique de mon nom

Se mi chiami per nome

è pioggia

che scende dagli alberi

quando ormai

non piove più

martedì 20 gennaio 2009

Foutaise - Uno Diviso Due Fa Uno

Cazzo di sigarette che mi sono fumato oggi!!! Beh domani si va in scena, è il giorno della farsa. – Il giorno dopo – Si, d'accordo, c'erano state delle variazioni sul tema, ma in fin dei conti il risultato era pur sempre il medesimo... Hai frainteso!!! Io credo nell'amicizia tra uomo e donna - del resto dietro ogni farsa si cela sempre una tragedia... - e viceversa. Si era quindi al giorno successivo – L'amicizia – La scena era grottesca, lei si esponeva come un manichino, ai miei occhi e alle mie critiche vendicative e false, la luce blu del loggione la incorniciava e tutti i miei sforzi s'infrangevano appena la mia razionalità cozzava sulle sue labbra. Lei incorniciata dalla luce ed io dalle sue parole del giorno prima, disteso verticalmente alla parete - pur di non starle vicino - che piangevo sul latte versato. I pensieri s'incrociavano, ma mai i nostri sguardi tesi, io pensavo a lei e lei pensava ad un lui che non ero io, così anche durante il tormentone amoroso, che fu la giusta punizione per espiare la mia idiozia. Uscimmo e non parlammo, restammo pochi istanti soli, e fuggivamo immobili dall'umido imbarazzo che, denso come la nebbia, non ci restituiva che le immagini distorte dei nostri ruoli ufficiali - gli amici. Ora sono lontano da lei e la cosa più straziante, oltre al non aver capito - e a non aver ricevuto nessuna caffettiera dopo tutti i due presi (pensavo ci fosse una raccolta che superato un certo tot ti davano un premio, tipo conad insomma…) - è il fatto che io sono qui che rimugino, e lei, come quel giorno a teatro, continua a farlo per altri. Questa sperequazione del dolore è ingiusta, naturalmente lei è assente di colpa e di sentimenti, come tra poco lo diverrò io - anaffettivo, questa credo sia la parola - ma anche lei dovrebbe pensare a me e pensare che magari io non sto tanto bene, quando le sorrido e quando lei ride alle mie battute e quando gioco a fare l'adulto disinteressato, è perché prima ho passato tre ore, a letto, a fare l'adolescente addolorato.

sabato 17 gennaio 2009

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Gigi Proietti recita la poesia "Il Lonfo" la più nota delle poesie metasemantiche di Fosco Maraini, etnologo, poeta e molto altro, padre della più famosa scrittrice Dacia. In questa poesia il gusto della parola e del suo suono sono esaltati, con la recitazione e la mimica ineguagliabile di Proietti, inoltre, tutto si contorna di una velatura d'ilarità ed il pubblico si ritrova a ridere anche non capendo bene cosa l'attore stia recitando. In basso, il testo integrale della poesia ed i link di consuetudine.

Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio s'archipatta.

E' frusco il lonfo! E' pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!

Se cionfi ti sbiduglia e t'arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t'alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.



Fosco Maraini (sito ufficiale)
Fosco Maraini (su Wikipedia)
Gigi Proietti (su Wikipedia)
Metasemantica (su Wikipedia)

mercoledì 14 gennaio 2009

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Bianca - Nanni Moretti - 1984

sabato 10 gennaio 2009

Cuori, Quadri, Fiori e Picche

Di questi tempi ho voglia di scrivere anche se non so bene cosa, ma l'importante è iniziare. Parlo - anzi parlavo prima di scrivere - della gente che si fa appendere con anelli e piercing per provare dolore, masochismo insomma; si parlava e il mio saggio interlocutore mi dice "eppure è la cosa da cui tutti fuggono". Quindi cosa può portare alla necessità di provarlo? Sono forse persone morte dentro che riescono a sentirsi vive solo provando dolore??? Non so darmi una risposta. Vero è, comunque, che mai ci si sente più vivi che come quando si soffre, o come quando fuori piove - io personalmente soffro quando fuori piove, ma lasciamo da parte la mia meteoropatia. La mia curiosità mi spinge anche verso un altro lido, e cioè: quando ci si sente vuoti a tal punto da voler soffrire, vuol dire che vi è una sofferenza di base, non fisica ma interiore; magari allora si vuol dimenticare la prima per la seconda, anche perché quando stacchi l'ago dalla carne e ritorni con i piedi per terra il dolore finisce e ti rimane quella piacevole senzazione della fine della sofferenza; come quando da stanchi per il lavoro ci si distende e si sentono gli arti dolere piacevolmente, ma pur sempre dolere. Contrariamente al fisico, un "io" che soffre dentro non ha scampo, non ha vie di fuga, se non appunto (forse) quella di rifugiarsi nel suo gemello corporeo. Già, mi ha sempre incuriosito questa ambiguità semantica infatti dolore e sofferenza sono parole che vengono usate indifferentemente sia per la mente che per il corpo, che in fin dei conti sono il dualismo fatto persona, sono l'uomo. Come associare, e come d'altronde non farlo, essendo due facce della stessa medaglia, i due tipi di dolore, uniti seppure diversi? Evidentemente, qualcuno fa le sue classifiche e decide cosa è meglio e cosa è peggio e qualcun altro al massimo pensa di scriverci una cazzata sopra.